Storia e tradizione
Bagnara Calabra è un comune in provincia di Reggio Calabria, ubicata in prossimità dello Stretto di Messina e che Edward Lear ha descritto come “incastonata a guisa di anfiteatro tra i contrafforti dell’Aspromonte”.
Sull’origine del paese esistono teorie discordanti: diverse fonti datano la nascita del nucleo abitativo di Bagnara Calabra al 1085, anno in cui i normanni, guidati dal conte Ruggero d’Altavilla, fondarono l’Abbazia di Santa Maria e i XII Apostoli. Secondo altri, invece, la città avrebbe origini ancora più antiche, risalendo addirittura al periodo fenicio.
A seguito della sua fondazione, il Conte di Sinopoli ebbe in possesso il territorio che gli fu dato in pegno da Giovanna II. In brevissimo tempo la città riuscì ad assumere un ruolo di primo piano, politico e religioso, anche nelle dinamiche meridionali.
Le più grandi dinastie italiane si interessarono e a Bagnara per via della sua posizione strategica sul Mediterraneo. La cittadina, infatti, fu contesa e dominata nel corso degli anni da Svevi, Angioini e successivamente anche Aragonesi.
All’alba del 1600, Carlo Ruffo venne nominato duca di Bagnara, che con la sua casata governò la città fino al 1811, anno in cui il comune venne riconosciuto come appartenente al distretto di Scilla. Questi sono anche gli anni in cui grande importanza ebbero le confraternite, alcune delle quali attive ancora oggi.
Tra gli eventi che segnano indelebilmente la storia del paese ricordiamo il terremoto del 1783 che rase completamente al suolo il borgo, distruggendo anche l’antica e famosa abbazia e in cui perirono quasi 3000 persone. A seguito di tale avvenimento, cittadini non si arresero e iniziarono la ricostruzione non sulle macerie del vecchio centro, ma riversandosi lungo il mare. Scelta, questa, che causò numerose perdite nel 1908 quando la terra tremò di nuovo e molti edifici di interesse storico e culturale vennero nuovamente rasi al suolo. Crollarono tutte le chiese del centro e delle frazioni ad eccezione di quella del Carmelo e di Maria SS. di Portosalvo. Palazzo San Nicola, gli uffici postali, il telegrafo e la pretura furono distrutti, tantissime abitazioni crollarono e altrettante subirono ingenti danni.
Gli aiuti arrivarono da ogni parte d’Italia e d’Europa e grazie a tali interventi la popolazione poté lasciare gli accampamenti per spostarsi verso abitazioni provvisorie che costituirono i rioni che ancora oggi conosciamo: il rione inglese, i rioni Pavia e Milano e, in prossimità del mare, il rione Calcoli che ad oggi fa parte del rione Valletta. Il paese rinacque grazie alla tenacia e alla volontà dei suoi cittadini.
Le Chiese e le Congreghe
Il comune bagnarese vanta una tradizione congregazionale di considerevole importanza che trae origine dall’insediamento dell’ordine dei domenicani nel 1582, nasce così la Faternità del SS. Rosario.
Tale fraternità fu la prima ad essere attiva sul territorio dove già i frati Carmelitani nel 1579 avevano istituito un oratorio di preghiera. La confraternita nasce ufficialmente nel 1630 ad opera di Padre Cardonio Pizzarello, primo priore. Mezzo secolo dopo, nasce ufficialmente la congrega del Carmine, il cui oggetto di culto era una raffigurazione della Vergine di epoca bizantina che nel corso dei secoli è sfuggita a tutti gli eventi naturali che hanno colpito Bagnara. Questa rappresentazione è tutt’oggi preservata all’interno della chiesa.
Proprio grazie alle confraternite, alla loro storia e ai documenti che esse conservano, è possibile trarre informazioni riguardo la condizione umana e religiosa degli abitanti di Bagnara. Molti di questi documenti, tra cui verbali e lettere si trovano presso la Congrega di Maria SS. Immacolata e delle Stimmate di San Francesco, anch’ essa con una particolare storia di fondazione, in quanto frutto dell’unione di due cogregazioni ad opera dei padri Cappuccini in un arco di tempo che va dal 1811 al 1822.
Più tardi, nella frazione di Ceramida nasce nel 1886 la Congrega di Maria SS. del Carmelo e il suo scopo principale era ” Esercitarsi i singoli iscritti nei doveri di Cristiani Cattolici…”. Anch’ essa come le altre riconosce le figure del Priore, Primo e Secondo Assistente, Maestro delle sacre Cerimonie, Gonfaloniere, Tesoriere, Segretario e Sacrestano che ancora oggi si mantengono.
Tornando indietro nella storia e collocando la linea del tempo intorno al 1620, si vede sorgere la prima chiesa di Maria SS. Annunziata, intorno alla quale nasce il primo nucleo abitato di Pellegrina. All’ interno di questa ” chiesa vecchia “, anche se a distanza di quasi cinquanta anni, fiorisce la Congregazione di Maria Santissima Annunziata, nel 1859, dove la maggior parte dei confratelli, appartenevano alla categoria sociale dei ” Massari “, cioè allevatori di bovini e caprini e successivamente, nel 1913 la Congrega di Santa Barbara Vergine Martire. I devoti di quest’ultima, da tradizione la festeggiano nella quarta domenica di Maggio e nella chiesa attuale vi è un altare laterale dedicato alla Santa con una sua statua. Grazie alle confraternite, quindi, era possibile non solo rispondere alle esigenze religiose dettate dalle varie epoche, ma anche organizzare i vari aspetti, politico-sociali, ed economici della comunità locale.
All’ interno delle varie chiese sono custoditi pezzi di alto valore artistico e storico: la Chiesa Madre, dallo squisito gusto ottocentesco, conserva al suo interno un San Francesco di Paola (tela del XVI secolo) e una Madonna dipinta nel secolo XVI, molto venerata dai fedeli; argentari del ‘600-‘700, i paramenti sacri che furono del battagliero cardinale Ruffo, una colonnina con fregi che, oltretutto, è tutto ciò che rimane dell’Abbazia.
La Confraternita del Rosario invece custodisce l’opera “Giuditta e Oloferne” dipinto di scuola napoleonica del XVII secolo (opera attribuita a Guido Reni); nella Chiesa dell’Immacolata è possibile ammirare una “Pianeta” donata dal Cardinale Ruffo di Calabria; infine, la Chiesa del Carmine conserva un baldacchino a lamine d’argento opera dell’orafo F. Boni, risalente alla metà del XIX secolo.
La Torre di Capo Rocchi
Sul territorio comunale è inoltre possibile ammirare altri luoghi di interesse storico, come ad esempio la Torre di Capo Rocchi o Rosci.
La torre, che nel corso del tempo è diventata uno dei simboli della nostra cittadina, sorge sul promontorio di Cacilì. Un evento sismico nel 1638 ne danneggiò la garitta, una piccola costruzione tonda o poligonale in cui si riparavano le sentinelle. La sua funzione principale era di guardia e segnalazione, data la sua posizione altamente strategica e fa parte di un sistema di difesa della costa tirrenica, assieme ad altre torri; infatti, è identificata come la trentaduesima torre della Calabria.
Dubbi sorgono sull’origine Normanna o Aragonese della costruzione.
Il Castello Ducale Ruffo
Conosciuto anche come Castello Emmarita, il Palazzo ducale Ruffo è un’antica fortificazione che sorge sul promontorio Marturano, nella parte alta della città di Bagnara. In pochi sanno che è possibile raggiungere il Castello Emmarita passando per il maestoso Ponte di Caravilla, l’unica opera architettonica al mondo ad essere attraversata per ben tre volte. Questa fortezza normanna è stata costruita intorno all’XI secolo, su ordine del conte Ruggero (futuro re Ruggero II del Regnum Siciliae), con lo scopo di fermare le incursioni dei saraceni. In origine, infatti, dal Castello si innalzavano possenti mura, circondate da ben dodici cannoni in bronzo, definiti “I dodici apostoli, e l’ingresso era dotato di un ponte elevatoio. Divenne in seguito l’abitazione dei primi priori del paese. Nel 1575, la Chiesa concesse come feudo il Castello Emmarita ad una delle famiglie più potenti di Bagnara, i Ruffo. Così, Giacomo Ruffo fece ristrutturare il Castello e lo trasformò, ben presto, nella residenza di famiglia. È per questo motivo che oggi il Castello Emmarita è meglio conosciuto come Palazzo ducale Ruffo e ne riporta lo stemma.
Il terremoto del 1638 colpì duramente gran parte della Calabria, compresa Bagnara, distruggendo alcune delle opere architettoniche più importanti per la storia del paese. Per fortuna, il Palazzo dei Ruffo non subì enormi danni. O, perlomeno, questo è quanto si apprende da alcuni atti notarili dai quali è emerso che la famiglia Ruffo continuò, anche dopo il terremoto, a usare il Palazzo come la propria sede principale. E, secondo quanto emerge da una scritta scolpita in una vasca in pietra granitica sita in una delle ampie stanze del palazzo, il Castello è stato poi ristrutturato, nel 1662, dagli stessi Ruffo.
Nel 1783, Bagnara fu nuovamente colpita da un evento sismico di notevole portata. Questa volta, purtroppo, il Castello Emmarità subì numerosi danni. Venne quasi raso al suolo. Così, nel corso dell’800 fu ricostruito sui ruderi di quello già esistente. Grazie al meticoloso lavoro dei progettisti dell’epoca, resistette al terremoto del 1908. Nel corso del ‘900, l’edificio passò alla ricca famiglia De Leo che, dopo alcuni anni di residenza, lo vendette. Per un breve periodo, fu anche adibito ad albergo e divenne un centro di formazione professionale alberghiera. Negli ultimi anni è stato al centro di una fitta serie di interventi di ripristino, che ci hanno permesso di ripercorrere l’origine di questo imponente edificio e riscoprire le bellezze pittoriche e architettoniche che hanno segnato la sua storia.
Il Ponte Caravilla
Il ponte di Caravilla fu edificato nel 1825 e ha il nome dell’ingegnere che lo progettò. Il ponte Caravilla è formato da due grandi arcate dell’altezza di 13 metri e da una corsia pedonale e carreggiabile di 34 metri di lunghezza e 7 metri di larghezza, costruito in mattoni pieni.
È un’opera architettonica di valore inestimabile che colpisce per la sua disposizione, tale da doverlo attraversare tre volte.
La sua posizione, inoltre, offre una vista incantevole sul mare. C’è chi ritiene che il Ponte rivesta una certa importanza anche sotto l’aspetto esoterico a causa dei numeri che lo caratterizzano: esso è composto, infatti, da 3 arcate alte tredici metri e da una corsia pedonale e carreggiabile lunga 33 metri e larga 7 metri.
L'anfiteatro Belvedere
L’Anfiteatro Belvedere è uno dei punti panoramici per eccellenza di Bagnara.
Da qui è possibile godere di una vista incantevole sulle coste bagnaresi, sullo Stretto di Messina e, persino, sulle isole Eolie. Raggiungerlo è davvero facile: è situato sulla Strada Statale SS18, all’interno di Bagnara Calabra, all’ingresso della frazione di Porelli, in prossimità del Ponte di Caravilla.
È, inoltre, possibile raggiungere il Belvedere direttamente dal Rione Marinella, attraverso il sentiero Marturano, un percorso in salita, con percorrenza di circa 0,86 km, che collega due grandi rioni della cittadina, Marinella e Porelli.
Nel 1841, ispirandosi alla struttura architettonica del convento di San Francesco da Paola, sotto il Belvedere fu costruito un camposanto. Tuttavia, lo stesso fu ben presto abbandonato perché era troppo vicino alla realtà cittadina.
Da alcune cartoline degli anni ’50, si è potuto osservare come quello che oggi è considerato uno dei punti panoramici più belli di Bagnara, in realtà, venisse utilizzato dalla cittadinanza, da sempre dedita alla pesca, come punto strategico per l’avvistamento del pescespada. Le vecchie cartoline, infatti, ci mostrano una vedetta in legno tipica di quegli anni, ma di cui, ormai, non abbiamo più diretta testimonianza.
Il mito della Bagnarota
La Bagnarota è ricordata come una donna lavoratrice che, al pari del marito, contribuiva al mantenimento della famiglia. Già dall’800 raggiungeva i paesi limitrofi per vendere il pesce. Percorreva chilometri a piedi portando sulla sua testa il carico di merce contenuto in larghe e capienti ceste “canessthri” dove poggiava una corona di stoffa, per alleviare la pressione del peso. Ma la bagnarota è conosciuta soprattutto per il contrabbando del sale che faceva dalla Sicilia alla Calabria e che nascondeva sotto le sue ampie gonne.
A metà dell’ Ottocento lo storico Cardone distingue le donne di Bagnara in tre diversi ceti: quello civile, quello medio e quello basso. Nel primo rientravano le donne istruite e le ricamatrici, nel secondo quelle che filavano e lavoravano la maglia e nell’ ultimo quelle che si dedicavano ai lavori più umili e pesanti. Proprio da queste infatti, è nato il mito della Bagnarota. Varie erano le attività alle quali si adoperavano.
Commerciavano pesce , frutta, stoffe, prodotti artigianali e altri che arrivavano dai bastimenti dell’ oriente. Portavano in paese alimenti di prima qualità come patate, olive, legumi e cereali. La manodopera di queste donne era necessaria anche per il trasporto del legname fino ai depositi per poi essere imbarcato e spedito. Si trattava di un lavoro veramente duro, che richiedeva numerosi viaggi giornalieri di svariati chilometri con più di settanta chili sulla testa, in cui trasportavano anche sacchi di sabbia dalla spiaggia al luogo dove serviva per costruire case o altro. Ma nonostatante esse fossero molto decantate dai forestieri, e rispettate fuori paese, spesso nel lavoro cittadino da loro praticato non erano trattate per il meglio. Le più “deboli” infatti, senza figli o senza marito perchè lontani venivano maltrattate o venivano picchiate.
Altre attività a cui esse si dedicavano erano il trasporto dell’ uva per la vendemmia, ma ancora più gravoso era il trasporto del mosto che avveniva grazie a un recipiente di liquidi fatto di pelle di capra conciata e cucita che si procuravano di anno in anno presso i vari macellai, lavandolo in mare e successivamente nell’ acqua dolce. E si aggiunge anche il trasporto del pescespada dalla spiaggia fino agli spacci o alla ferrovia.
Lungo il corso principale della cittadina di Bagnara Calabra, si trova la statua della “Bagnarota”, opera dello scultore Silvio Amelio. Essa è raffigurata con il celebre vestito denominato “saja” e con una cesta di vimini sulla testa con la quale trasporta il pesce fresco, uva e quant’altro da vendere porta a porta. Caratteristica peculiare è la grandezza di mani e piedi, che sottolineano l’ operosità e la caparbietà di questa donna dal carattere tenace e forte.
La tarantella
La Tarantella calabrese è una danza tradizionale dell’Italia meridionale, originaria della regione della Calabria. Questa danza è stata praticata per secoli come un rituale di guarigione per le persone che credevano di essere state morse da un ragno velenoso, noto come il ragno tarantola.
In passato, la tarantella veniva ballata come un modo per liberarsi dal veleno del ragno tarantola. I danzatori ballavano per ore, spesso fino all’esaurimento, in un tentativo di sudare il veleno fuori dal loro sistema. La musica tradizionale della tarantella era suonata con strumenti come la chitarra, la fisarmonica, il tamburello e il flauto. Oggi, la tarantella calabrese viene ancora ballata in molte parti della Calabria come una celebrazione della cultura locale. La danza è diventata un simbolo della regione e viene eseguita in molte occasioni, come matrimoni, feste e festival.
La tarantella calabrese è caratterizzata da movimenti rapidi e vivaci, con i danzatori che si muovono in cerchio o in linea, spesso tenendosi per mano o per la cintura. La danza è molto energica e coinvolgente, con i partecipanti che si muovono a ritmo di musica con passi veloci e salti.
La tarantella calabrese è una parte importante della cultura locale della Calabria e continua ad essere amata e praticata oggi. La danza è un modo per celebrare le tradizioni e la storia della regione, e per riunire la gente in un’esperienza di comunità e di gioia.